Non capita tutti i giorni di entrare nelle viscere di un bunker nazista e scoprire che là, dove si intrecciavano cunicoli soffocanti, si aprono oggi gli spazi sofisticati di una delle più belle gallerie d’arte contemporanea di Berlino: la collezione Boros.

Bella anche e soprattutto per questa sua collocazione inusuale: attraversare le sue stanze è come effettuare una trivellazione geologica nella storia di Berlino, affondando nel suo passato nazista per risalire, piano per piano, fino al suo presente scintillante (mettiamo subito le mani avanti: nella penthouse che Christian Boros si è fatto costruire sul tetto, citando – con un certo spirito di contrappasso estetico – il padiglione Barcellona di Mies Van der Rohe, non si può entrare. Lì il mecenatismo si arrende alla privacy, anche se tutto pare allestito apposta per farvi morire di voglia e sbirciare almeno dalle scale i saloni affacciati su Berlino).

 

Bunker Collezione Boros

 

Il bunker e la collezione d’arte

La Storia

Dall’esterno la struttura appare come una fortezza inespugnabile, con pareti immani in cemento armato e cupe feritoie (in realtà finestre cieche, puramente estetiche). Qualche concessione decorativa di inspirazione rinascimentale ci ricorda che, se la destinazione iniziale era proteggere il personale e i viaggiatori della stazione di Friedrichstrasse dalle bombe inglesi, l’intento dei nazisti era riciclare poi l’edificio nel contesto trionfale di “Germania”, la capitale del mondo firmata Hitler&Speer. E invece, dopo la guerra, il bunker finisce per diventare un gigantesco frigorifero! Ai tempi della DDR ci si stipava la frutta esotica inviata da Cuba ai compagni tedeschi (che mica potevano mangiare sempre e solo cetrioli), da cui il soprannome “Bananenbunker”.

Poi, siccome la storia è spesso ingiusta ma non priva di ironia, il bunker delle banane è diventato uno dei techno club più estremi d’Europa: con festini a base di droghe, fruste, catene ed altre delizie da darkroom berlinese. Essendo il “Bunker” (lo chiamavano semplicemente così quel famigerato club) poco distante dal Reichstag e dal nuovo quartiere governativo, probabilmente qualcuno ha cominciato a storcere il naso: Berlino doveva smettere di fare la “strana” e diventare invece l’austera capitale della rinata Germania post-unificazione.

Nel 1995 viene programmato un favoloso party di fine anno “Gli ultimi giorni di Saigon”, la polizia lo vieta, ma ovviamente i berlinesi lo fanno lo stesso. E così il Bunker deve chiudere, feticisti e ballerini migrano verso altri spazi, e nel 2003 l’edificio viene acquistato da una ricca coppia dell’ex Germania Ovest, Karen e Christian Boros, che da tempo sognavano di lasciare la sonnacchiosa Wuppertal e trasferire la loro collezione nella capitale (nota: potrebbe sembrare strano che un edificio così ricco di storia sia stato venduto a un privato, ma per trovare fondi con cui finanziare l’unificazione la Germania ha venduto di tutto e senza il minimo scrupolo, specialmente a Est).

 

Anna Uddenberg Rona Collezione Boros

Foto: Boros Collection, Berlin © NOSHE

 

La Metamorfosi

La trasformazione della fortezza nazista in galleria d’arte (con inclusa villa sul tetto) non è stata priva di difficoltà: gli spazi angusti e bui – che potevano andare bene per scampare alle bombe, conservare le banane o frustarsi con gli amici – non si prestavano ad accogliere i pezzi della collezione Boros (spesso grandi istallazioni ambientali) e gli architetti (Jens Casper, Petra Petersson e Andrew Strickland) hanno dovuto per prima cosa sventrare l’edificio. Operazione difficilissima considerando le tonnellate di cemento armato da estrarre (alla fine furono più di 150 metri cubi segati con speciali lame al diamante), ma anche e soprattutto i vincoli imposti dal valore monumentale del Bunker.

Il risultato assomiglia a una delle migliori invenzioni del Piranesi: i livelli della galleria si rivelano a sorpresa allo sguardo del visitatore, con impreviste aperture sulle opere d’arte e continui rimandi tra allestimento e installazioni, in un percorso labirintico di scale a doppia spirale, terrazzamenti, corridoi, vuoti improvvisi e camerette claustrofobiche. Le vestigia del passato (qualunque passato: bunker, frigo o darkroom) sono state conservate per costruire un dialogo intelligente e ironico tra i pezzi della collezione e lo spirito del luogo, il suo genius loci.

 

Cyprien Gaillard Lesser Koa Moorhen Collezione Boros

Foto: Boros Collection, Berlin © NOSHE

 

La  Collezione

A partire dal 2008 la collezione dei coniugi Boros è stata aperta saltuariamente al pubblico, con lunghissime file e liste d’attesa, ma visto l’interesse inesauribile del pubblico ora è possibile visitarla ogni settimana. L’allestimento attuale è stato completamente rinnovato durante l’estate 2022 e per i prossimi quattro anni sarà possibile ammirare questa sezione nuovissima della vasta collezione Boros: rispetto al passato è stato dato meno spazio alla monumentalità (ricordo il grande contorto albero di Ai Wei Wei che occupava due livelli della galleria) o allo stupore dei sensi (la macchina dei pop corn di Michael Sailstorfer, che per anni ha riempito di caldo odore burroso i tunnel del bunker) privilegiando inserimenti minimal, opere di artisti giovanissimi (come il nuovo astro dell’arte tedesca, Anne Imhof) e soprattutto lavori recentissimi (che i Boros amano collocare nella loro galleria personalmente, lavorando semmai spalla a spalla con l’artista per ottenere un effetto site-specific).

Il filo conduttore (se si vuole trovarne per forza uno in questo labirinto dei significati e dei significanti) è legato alla produzione e al consumo di immagini “post-internet”: quel mondo vasto, confuso e virtuale dove tutto e niente pare avere senso eppure tutto è controllatissimo, sottoposto al calcolo di misteriosi algoritmi che decidono per noi quello che va visto, quando va visto, come va visto.

Diventa allora estremamente interessante il confronto fra questi spazi densi di storia passata, dove il controllo si manifestava in modi evidentissimi e violenti, e il presente che questi artisti stanno rielaborando, dove il controllo non si manifesta ma si inocula invisibile e glamourous. E ai critici e ai detrattori che spesso hanno stigmatizzato l’uso di uno spazio costruito da lavoratori forzati a scopi per così dire “dilettevoli” si oppone con semplicità la risposta di Christian Boros: “tutti i dittatori hanno paura dell’arte”.

Così, nella collezione Boros, il genius loci rinasce per farsi Nemesi storica o Musa futura (e, visti i trascorsi, ce la immaginiamo un po’ surreale, con il berretto di Fidel, la lingerie S&M, armata di frusta e banane, so typisch Berlin!)

 

Boros Bunker04 Collezione Boros

Foto: Boros Collection, Berlin © NOSHE

La Visita

La collezione è aperta da giovedì a domenica e si può visitare solo prenotando una guida interna, in tedesco o inglese. Essendo gli spazi molto particolari e spesso angusti i gruppi sono fortunatamente sempre molto piccoli, ma purtroppo, visto che comunque è un luogo privato, non si può “curiosare in giro” né fare fotografie (anche se poi i social sono zeppi di immagini “rubate” all’interno.

Il costo è 18 euro (10 per chi ha diritto a un riduzione). Consiglio vivamente di prenotare con largo anticipo perché la collezione attrae non solo gli amanti dell’arte contemporanea, ma anche gli appassionati di storia.

Troverete ogni altra informazione al sito dedicato: Sammlung Boros

A tutti quelli invece che si sono incuriositi sulla storia così complessa, distruttiva e metamorfica, di Berlino consiglio invece di scriverci, per organizzare magari una visita personalizzata che unisca nel suo percorso i luoghi della storia passata e gli spazi più interessanti dedicati all’architettura e l’arte contemporanea.

 

 

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