La (ex-) scuola ebraica per fanciulle di Auguststrasse
Forse ci sono ancora spettrali bambine che giocano a Himmel und Hölle tra queste mura, correndo nei corridoi in vestiti cinerei (ora non le può più sgridare nessuno), ma la prima impressione della Ehemalige Jüdische Mädchenschule (ex-scuola ebraica per fanciulle) è niente affatto lugubre: da edificio abbandonato sulla Auguststrasse è diventato uno dei luoghi più raffinati di Berlino.
Un paradiso per gli occhi, per la sua precisa architettura razionalista e le gallerie d’arte che si sono insediate nelle classi svuotate, e un paradiso per la gola, visto che al primo piano si trovano un ristorante per brunch sciccosi e un Deli di cucina ebraica – newyorkese.
La storia della ex scuola femminile ebraica di Berlino
Ovviamente le mura della scuola hanno storie amare da raccontare, eppure appena entrati nell’atrio, in mosaico verdeazzurro, veniamo di colpo sbalzati agli anni in cui Berlino era la metropoli più sofisticata d’Europa.
Oggi infilare Berlino e l’aggettivo “sofisticata” in una stessa frase è come provare a mettersi un pantalone meraviglioso di due taglie troppo piccolo: un desiderio sfrenato che diventa tortura e di lì a poco disastro.
La città smania per tornare a essere elettrizzante avanguardia del mondo, ma arranca sotto il peso del passato, strangolata dalla voglia di apparire, offesa dall’essere sempre svenduta. Per forza le manca il respiro per essere modella e musa. In quella manciata d’anni tra il 1925 e il 1932 invece Berlino faceva rizzare i ca…pelli di mezzo mondo per la sua fantasia libera e spregiudicata, per il modo unico con cui ha saputo essere elegantissima eppur “smutandata”.
L’architettura
La scuola ebraica per fanciulle è stato uno degli ultimi lasciti di quegli anni d’oro, costruita come fu a ridosso della dittatura Nazionalsocialista (venne inaugurata nel 1930 e chiusa nel 1942, quando oramai le fanciulle non potevano più andare a scuola perché dovevano semplicemente andare a morire nella camera a gas), è considerata uno dei più begli esempi della Neue Sachlichkeit architettonica a Berlino
Alexander Beer (architetto che i Nazisti uccisero nel 1944 a Theresienstadt, il “campo di lusso per ebrei celebri”, ovvero anticamera di Auschwitz) aveva perfettamente chiare quali devono essere le funzioni di una scuola: un edificio semplice, igienico, pieno di aria e di luce, non privo di una certa severità (perché l’istruzione è una cosa seria) ma attento alle esigenze dei bambini.
Se poi la scuola riesce anche ad inculcare un po’ di buon gusto il gioco è fatto. Ecco allora la torre, massiccia ma praticamente svuotata di peso grazie alle immense finestrature che rivelano stanze (per il disegno) dai soffitti luminosi, altissimi. Il corpo principale, leggermente arretrato dalla strada, distribuisce con precisione sui piani uffici, aule e corridoi ed è sormontato da un terrazzo dove le bambine potevano fare i bagni di sole (come si usava una volta) e giocare durante le pause, lontane dal “mondo basso” e più vicine al cielo e alla luce, all’aria pulita.
Il restauro moderno ha voluto preservare con cura tutti questi tratti, recuperando con maestria l’ingresso, raffinatissimo con le sue geometrie di piastrelle decò, e la scalinata, puro Bauhaus. Appena entrati viene subito voglia di cambiarsi d’abito e impomatarsi i baffi, accendendo magari una sigaretta col bocchino al suono di un disco swing…
La storia
Seppure in Germania la maggior parte dei bambini, ebrei e non, andasse a scuola insieme, fin dall’ottocento esisteva a Berlino un istituto espressamente dedicato all’educazione delle bambine ebree, dove, accanto al percorso di studi regolari, si studiavano anche la lingua ebraica e varie forme di arti applicate.
Non appena preso il potere nel 1933 i Nazisti però promulgarono la Gesetz gegen die Überfüllung deutscher Schule und Hochschule che, con la scusa di ridurre il sovraffollamento delle scuole pubbliche, separò tutti i bambini in base a fantomatici criteri razziali, finendo per sovraffollare le scuole ebraiche. Negli anni il numero degli allievi cominciò tragicamente a diminuire (quelli che potevano, scappavano all’estero con le famiglie) finché il 30 giugno del 1942 i Nazisti chiusero la scuola e deportarono gli ultimi insegnanti e allievi rimasti verso i campi e la morte.
Durante la guerra l’edificio funzionò come ospedale militare e per miracolo fu risparmiato dalle bombe, cosicché negli anni 50 la DDR pensò di restituirlo alla sua funzione originaria, istituendovi il liceo Bertolt Brecht. Ma evidentemente era destino che anche i nuovi studenti lasciassero la Germania o per lo meno Berlino Est: poco dopo la caduta del Muro il liceo fu costretto a chiudere per mancanza di iscritti e la scuola cadde in totale abbandono.
Nel frattempo, il quartiere ebraico tutt’intorno conosceva un bizzarro rinascimento: gli edifici diroccati venivano occupati dagli artisti (indimenticabile Tacheles!), si aprivano bar e locali per incontrarsi e ballare (ovviamente la techno), le facciate scrostate si riempivano di street art, le strade di colori e profumi (quali… te li lascio immaginare).
La scuola per fanciulle restava elegantemente in disparte, come una vecchia signora un po’ snob, occasionalmente schizzata da qualche bomboletta di colore o coperta dai volantini di un party underground (sempre e comunque techno), osservava dalla sua posizione privilegiata di monumento protetto (ma vuoto) l’evolversi incredibile delle cose.
Nel 2009 grazie alla Conference on Jewish Material Claims Against Germany l’edificio venne finalmente reso alla Comunità Ebraica di Berlino che però si trovò subito nella difficoltà di recuperare questo capolavoro architettonico oramai devastato dagli anni di abbandono. E qui entrò in gioco un ricco gallerista tedesco, Michael Fuchs, che offrì più di cinque milioni di euro per restaurare la ex-scuola ottenendone in cambio l’usufrutto per trent’anni.
Senti anche tu puzza di gentrificazione?
La scuola oggi
Nel 2012 le aule della scuola si illuminarono di candelabri e si potevano sentire tintinnare i bicchieri di champagne fin sulla strada quando, dopo il restauro, fu riaperta in occasione della Biennale di arte contemporanea, e per qualche anno fu davvero tempio dell’eleganza gastro-chic, con il costosissimo Pauly Saal al primo piano, e gallerie e musei d’arte e fotografia sopra. Ma Berlino non è Parigi né New York.
Oggi rimane solo la bellissima galleria di Michael Fuchs all’ultimo piano, assolutamente consigliata sia per la selezione dei curatori, sia per gli spazi ariosi e luminosi disegnati da Alexander Beer. Sotto si può mangiare uno dei migliori pastrami della città da Mogg o fare la fila per uno dei brunch più istagrammati alla House of Small Wonders, un caffè di inspirazione giapponese dove è sempre meglio prenotare in anticipo.
Se davvero la sua riapertura sia stata causa della gentrificazione del quartiere ebraico, o soltanto un sintomo, difficile dirlo, piuttosto rimane la sensazione di una evoluzione confusa: proprio accanto alla scuola rimane ancora attiva una delle Kunsthaus storiche della città, la KuLe, (toccante il contrasto con la sua facciata cadente), ma in fondo alla via il Tacheles è stato trasformato dagli speculatori in un obbrobrio architettonico che ospiterà l’ennesimo, banalissimo centro commerciale. Forse dobbiamo solo ringraziare il coraggio di Fuchs che per lo meno ha riaperto le porte di questo bellissimo edificio a tutti e lo ha preservato da un destino così triviale.
Ne potremo semmai parlare insieme durante il nostro Tour del Quartiere Ebraico, uno dei più apprezzati dai nostri compagni di viaggio proprio perché permette di raccontare in poco tempo la storia di Berlino, ma soprattutto vedere con i propri tutte le grandi, piccole contraddizioni che rendono questa città così affascinante, ma sempre difficile da capire.